Architettura e opere d’arte nel campo civile
Nelle costruzioni di uso civile di antica data domina il granito e il ferro battuto, lavorati da abili artigiani serresi che a Guardavalle, come in altri paesi della Calabria, hanno lasciato un ottimo ricordo di buon gusto e di grande abilità. Nel centro storico, infatti, sono rimasti intatti almeno 35 portali variamente lavorati, risalenti al tardo ‘700 e ai primi decenni dell’800.
A tale proposito, in uno scantinato ubicato nell’attuale Via Roma n. 12 si può leggere, incisa nel granito, la data del 1773: sicuramente è il locale dove soggiornarono gli scalpellini di Serra durante l’esecuzione dei vari lavori in granito
Il palazzo Criniti ha il suo ingresso su Via Marconi e si articola in lunghezza. Oltrepassato un bel portale in granito, si sale alla porta di casa, sormontata dalla testa di un angelo e dallo stemma marmoreo di famiglia: un leone rampante su monte a tre cime, sovrastato da una stella. Sotto lo stemma, quasi illeggibile, la data del 1492.
Al piano d’ingresso la zona giorno e la cucina; in una stanza ci sono alcune pitture al soffitto con scene di vita d’ogni giorno. Ultimamente sono state eliminate le tramezzature e una stanza è ritornata alla sua forma originaria. Il piano superiore è ancora oggi arredato con pezzi originali del 1800.
Il palazzo Salerno sorge nel piazzale della chiesa matrice. Sul portale spicca lo stemma di famiglia: un leone rampante con corona e due stelle in alto ai due lati. Sotto il balcone, quasi invisibile, un’iscrizione: D. FRANCESCO SALERNO 1859. Certamente è una data relativamente recente: infatti, secondo il parere dello storico Lobstein, il palazzo è una costruzione cinquecentesca.
Il terremoto del 1659 rase al suolo la parte opposta all’ingresso, che poi venne ricostruita; la parte superiore di essa termina con un grande terrazzo di circa 120 mq.
Di grande pregio le quattro colonne monolitiche situate ai due lati dell’ingresso. Nell’androne d’ingresso due volte a crociera con mattoni in foglio. Una grande scala a due rampe in granito porta ai piani superiori, dove erano sistemate le camere da letto, gli studi e i vari salotti e soggiorni. All’ultimo piano, nel sottotetto, erano situate le cucine. Nel sottotetto c’era anche la camera del sarto, dove il sarto lavorava a giornata per cucire gli abiti dei vari componenti della famiglia.
Il palazzo Sirleto, del ‘600, è senza dubbio il più imponente di tutti i palazzi di Guardavalle, anche se la sua costruzione non fu mai completata: un’ala è rimasta a cielo aperto e un alto e lungo muro, che corre lungo l’attuale Via S. Carlo, fa supporre che il palazzo doveva allacciarsi alla chiesa omonima.
Nelle varie epoche fu chiamato in diversi modi: in origine, a motivo della vicina chiesa, fu chiamato palazzo S. Carlo; nella prima parte dell’800 fu chiamato semplicemente palazzo; in seguito ebbe il nome di cantina ed infine, ai giorni nostri, palazzo Sirleto.
Sul frantoio e sulle grandi cantine, che formano il piano terra, si alzano i piani superiori, abitati ancora fino a qualche decennio fa. Nell’interno fa bella mostra di sé un grande camino in granito, ben conservato, le cui alte volte sostengono i primi due piani del palazzo.
Nel 1875 tutta la facciata del palazzo doveva essere rifatta in bugnato, con l’eliminazione dei due balconi, sostenuti da grandi puntoni di granito, e del cornicione in granito che corre lungo tutto il perimetro del palazzo. Il restauro, progettato dall’arch. Parisi, per fortuna non fu mai eseguito.
In un rogito del 12 novembre 1829, del repertorio del notaio Giuseppe lemma, residente in Gioiosa, don Gaspare Ametraní Sirleto originario di Gioiosa ma residente a Guardavalle, ricco proprietario anche in Stignano, Stilo e Caulonia, per aver riunito nella sua persona ingenti beni, “specialmente quelli derivati da don Pietro Paolo, don Ferdinando Sirleto e della defunta sua genitrice signora donna Giovanna Sirleto, dona irrevocabilmente all’istesso suo cognato don Vincenzo Agostini, tra vivi, in proprietà ed in possesso la sua casa posta e tutto quanto esso donante possiede del locale detto la Piazza in Guardavalle con Palazzo e casa ivi diruta”. In seguito, gli eredi dell’Agostini e della moglie Mariangela Ametraní, cioè Giuseppe, Errico e Nicolantonio, trasferirono, con istrumento del 19 gennaio 1871 del notaio Logozzo di Gioiosa, al medico‑fisico Pietro Prínci fu Giuseppe, l’intero fabbricato.
Da una delibera del Consiglio Comunale di Guardavalle, risalente al luglio 1871, avente per oggetto: “Discutere se realmente il Comune ha diritti sul Palazzo detto del Cardinale Sirleto, ora acquistato dal Dott. Pietro Princi e deliberare quanto deve praticarsi al riguardo”, apprendiamo che un gruppo di guardavallesi, dilettanti di rappresentazioni, organizzava spettacoli teatrali in una sala del primo piano del palazzo, chiudendo una parte dello stesso palazzo nel periodo delle rappresentazioni. Ancora oggi, sul muro di fondo di questa sala, si notano resti di pitture scolorite dal tempo.
Il palazzo Spedalieri si affaccia sulla Piazza Immacolata. E’ stato costruito in due momenti diversi: la parte che si affaccia sul fiume è del ‘600, mentre la parte che dà su Piazza Immacolata è del ‘700. La facciata è ad intonaco bianco con ornati baroccheggianti. Il portone d’ingresso, in granito lavorato, reca l’iscrizione “D. PETRUS HOSPITALERIUS A. 1777”. Lo stesso Pietro Spedalieri donò la colonna in granito di Piazza Immacolata (datata 1783).
All’interno, il selciato dell’androne è originario. La rampa sinistra della scala di accesso è stata eliminata all’inizio dell’800 per accedere più agevolmente al frantoio. Il cornicione del tetto è stato rifatto nel 1938, beneficiando dei contributi dati per il terremoto del 1908.
Nell’interno vi sono ampie stanze, tra cui una molto bella con tendaggi, sedie e divani del tardo ‘700. Da questa stanza si accede ad un oratorio privato.
Attualmente il palazzo è abitato dall’avv. Vincenzo Spedalieri.
Il palazzo dei Notari (di proprietà della famiglia Trua) sorge su pianta trapezoidale, con ingresso sulla via Cavour. Oltre il portone, una grande scala ad una rampa porta ai vari appartamenti. Molto articolato all’interno, tanto da sembrare un labirinto, il palazzo è oggi in stato di totale abbandono. Abitato dagli ultimi eredi fino a quindici anni or sono, ha subìto nel corso degli anni varie trasformazioni di adeguamento, ma la tipologia è rimasta quella originale del ‘600‑’700 Si chiama ancora oggi “palazzo dei notari” perché è stato abitato da diverse generazioni di notai della famiglia Trua.
Il palazzo Trua, del ‘700, ubicato sulla sinistra della chiesa di S. Antonio, è in stato di abbandono: attualmente è abitato solo un appartamento. Molto bella la cisterna, di buona fattura anche le scale in granito che dalla strada portano ai piani superiori.
Il palazzo Falletti, ubicato al lato della chiesa del Purgatorio, su Via Garibaldi, mostra al suo ingresso due belle colonne in granito monolitico e un bel portale sempre in granito. La facciata è ornata con un bel bugnato, ottenuto dal sapiente uso di pietre e laterizi.
Nell’interno si può ammirare un bel cancello in ferro battuto, di pregevole fattura, opera di artigiani serresi.
Il palazzo è abitato a tutt’oggi, anche se saltuariamente, dagli eredi
Il palazzo Rispoli si affaccia su Corso Sirleto. Oltrepassando un bel portale, una volta si accedeva ai locali del piano terra (frantoio e magazzini) che oggi sono adibiti a negozi e hanno l’entrata dal Corso. Sul cortiletto interno insiste una scalinata in granito che porta agli appartamenti situati al primo piano. Il palazzo è di epoca ottocentesca. Dello stesso periodo e ad opera della stessa famiglia Rispoli è l’edificio costruito in contrada “coltura”. La costruzione è a pianta quadrata, con due torri cilindriche ai due lati d’ingresso; sorge sulla cima di una collina che chiude verso est la conca in cui sorge Guardavalle.
Il palazzo Riitano, su Via S. Carlo, è stato ristrutturato alcuni anni or sono; mostra un bel portale in granito che unisce il bugnato neoclassico a volute barocche.
Architettura e opere d’arte nel campo religioso
Anche nella costruzione delle chiese il granito è stato usato in abbondanza dagli scalpellini serresi. In granito era la porta della chiesa di S. Caterina, come in granito è la porta principale e quella secondaria della chiesa del Carmine; in granito sono le arcate della chiesa di S. Carlo Borromeo; in granito sono pure la porta principale e secondaria della chiesa matrice.
Avendo parlato dell’architettura delle chiese già a suo tempo, ci fermeremo ora a dare qualche notizia sulle statue e sui quadri a carattere religioso.
Statue
- Nicola: sicuramente proveniente dalla omonima chiesa. Si tratta di una statua lignea molto antica: lo si deduce dalla barba e dalle pieghe stilizzate del camice. Alla base reca la seguente iscrizione: “… Vitale Marco Rimito di S. Caterinaa 1843” (non è certamente la data della scultura). Attualmente la statua è conservata nella chiesa matrice.
Cristo risorto: anch’essa in legno, databile fine ‘700. L’iscrizione posta in basso dice: “D. Giuseppe Carioti Priore Proc.e, massaro Antonio Salerno Filipo Tassone, Pasquale Minniti scultore di Dasà”. La statua è conservata nella chiesa matrice.
- Caterina: in legno, opera serrese del ‘600‑700. La santa è molto bella nella sua imponenza. E’ conservata nella chiesa matrice.
Assunta: in legno, databile ‘800. E’ stata restaurata più volte in malo modo. Degli angeli che fanno corona alla Vergine sono originali solo i due laterali in basso. E’ conservata nella chiesa matrice.
- Antonio da Padova: in legno, attribuibile al ‘700. Si conserva nella chiesa matrice.
Addolorata: si tratta di un manichino vestito. L’opera, del ‘700‑800, mostra un bel volto, segnato dal dolore. Si conserva nella chiesa matrice.
Madonna del Rosario: anch’essa è un manichino vestito. Attribuibile al ‘700 per le fattezze del volto. E’ stata restaurata da Michelangelo Drosi negli anni ’30. Si conserva nella chiesa matrice.
- Francesco di Paola: si tratta di una statua molto bella, eseguita con molta attenzione ai particolari: ad esempio, si vedono benissimo le vene delle mani. Epoca ‘600‑700. Si trova nella chiesa matrice.
- Agazio: se ne è già parlato a suo tempo nelle pagine 141‑145.
- Rocco: opera lignea dell’800, attribuibile all’artigiano Vincenzo Zaffino, di Serra S. Bruno. Si trova nella chiesa matrice, presso l’altare principale, sulla destra.
Immacolata: opera lignea dell’800, attribuibile a Vincenzo Zaffino, di Serra. Si trova nella chiesa matrice, nell’omonima cappella.
Crocifisso: in legno, si trova nella sagrestia della chiesa matrice. Il Crocifisso è scolpito a tutto tondo, con figura eretta e lineare, con la testa lievemente inclinata a destra. Notevoli deterioramenti all’attacco delle braccia e sul retro. Nella mano destra mancano due dita e nella sinistra quattro. Su tutta la figura sono state sovrapposte, in varie epoche, patine di colore scuro. La croce è stata sostituita recentemente. L’opera è della prima metà del secolo 17′ (8). Le misure: altezza m. 1,75, larghezza delle braccia m. 1,70.
Crocifisso: a sinistra di chi entra nella chiesa matrice. Figura scolpita a tutto tondo e dipinta, con forte accentuazione delle ferite, col capo inclinato verso destra. E’ lavoro del 19′ secolo. Misura m. 1,40 in ‑altezza, m. 1, 10 di larghezza alle braccia.
Crocifisso: scolpito in legno a tutto tondo, con figura eretta lineare, la testa lievemente inclinata. E’ stato trovato nel 1979 nei locali annessi alla chiesa di S. Maria di Marasà, nascosto sotto una spessa coltre di paglia. Sembra attribuibile al ‘600; assomiglia a quello che si conserva nella sagrestia della chiesa matrice. E’ stato sistemato nella stessa chiesa di S. Maria.
Crocifisso: figura scolpita a tutto tondo‑nel legno e dipinta al naturale (ridipinta). Il capo è reclinato sulla spalla destra. E’ lavoro del secolo 19′. Le misure: la croce (dell’epoca) m. 1,70 x 1,00, il Cristo m. 1,00 x 1,00. Si conserva nella chiesa del Carmine.
Crocifisso: in legno, del secolo 18′, altezza cm 50. Di proprietà della famiglia Spedalieri.
Madonna del Carmine: si tratta di un manichino settecentesco. Gli abiti della Vergine e del Bambino sono molto preziosi: la stoffa è laminata in oro, in oro sono anche i ricami. Gli antichi ricami sono stati ripassati sull’attuale nuova stoffa nel 1956 dalla ditta Serpone di Napoli.
Prima della statua veniva venerato il quadro della Madonna del Carmine che si trova a destra della navata. Tale quadro, oggi molto deteriorato, potrebbe essere del ‘600.
- Lucia: in legno. Liscrizione recita così: “Prima quani cernis est icon Michaele Amato civitatis Serrae sculpta sumptis Guardavallis pietate A.D. 1852” . La statua che vedi è la prima scolpita da Michele Amato, di Serra, con le offerte dei fedeli di Guardavalle, nel 1852. Si conserva nella chiesa del Carmine.
- Filomena: in legno. Si conserva nella chiesa del Carmine.
- Giuseppe: si tratta di una statua lignea a mezzo busto. Si conserva nella chiesa del Carmine.
- Maria degli Angeli in Guardavalle Marina: la statua fu ordinata da don Leonardo Calabretta nel settembre 1971 allo scultore Conrad Moroder di Ortisei (Val Gardena, Bolzano). L’opera ha richiesto quasi un anno di lavoro. Scolpita in legno di cirmolo (una pianta della famiglia delle conifere), la statua arrivò in parrocchia il 24 luglio 1972 e destò l’ammirazione di quanti la videro nella processione della prima festa.
Quadri
Trittico dietro l’altare maggiore della chiesa matrice: il quadro centrale misura in. 3 x 2,20. Si è in dubbio cosa rappresenti: secondo qualcuno è l’apoteosi di S. Agazio (con elmo e spada per terra), a cui la Madonna e il Bambino danno la palma del martirio, mentre un angelo porta al Santo una corona di fiori; a sinistra del quadro S. Pietro con le chiavi in mano, a destra S. Paolo con in mano la spada del suo martirio. Secondo altri, non si tratterebbe della glorificazione di S. Agazio, ma della Madonna Assunta in cielo.
Il quadro piccolo di sinistra rappresenta S. Michele Arcangelo; in quello di destra non si riesce a vedere quasi nulla (un vescovo?).
Il trittico è attribuibile ad un pittore meridionale della prima metà del secolo 17′. Sulla cornice c’è lo stemma di un vescovo della famiglia Sirleto.
La Madonna del Rosario: pala d’altare firmata e datata (1713) da Tommaso Martini di Bivongi. Si trova nella chiesa matrice di Guardavalle nella cappella omonima. La tela, di metri 2,55 x 1,70, è contornata dai quindici misteri. Riportiamo la descrizione che ne ha fatto Luigi Cunsolo:
“Due angeli, volanti al di sopra della testa di Maria Vergine, aprono un ricco, piegoso velario, che vuol figurare di aver nascosto la scena centrale: un angelo è in piena luce, quello accanto è dipinto in ombra. A tenere aperte le estremità del baldacchino ci sono alla nostra sinistra due serafini, a destra un angelo con le ali spiegate in atto di adorazione e col petto e con le braccia appoggiati sopra una nube che gli fa da paravento. Anche la Vergine sta seduta sopra le nubi e regge con la sinistra il Bambino vivacemente rivolto verso la santa a cui porge una corona del Rosario. Lo stesso fa la Vergine verso S. Domenico, che solleva la sinistra aperta verso la Vergine, come a significare che il dono gli è gradito, mentre con la destra si accosta la corona alle labbra per baciarla con profonda riverenza.
Queste due mani dalla palma rivolta verso l’osservatore stonano alquanto, anche se bene disegnate.
A destra della Vergine un angelo reca in un vassoio, variato da luci ed ombre, un mucchio di rose, in atto di offrirle alla Madonna. Questa è alquanto fredda nella sua rigida e statuaria compostezza e tale si mostra anche la Santa nella sua immobile inespressività. Regge un libro e dei gigli appoggiati a questo lungo il fianco sinistro.
Contro la nuvola che sostiene la Vergine si scorge un angelo che bada ad un cane, dalla cui bocca sporge una fiaccola accesa: il simbolo dei Domenicani. Un altro angelo è seduto sul gradino del primo piano e sorregge anch’egli un vassoio colmo di rose, naturalmente allusive al Rosario. Di rose è anche sparso il pavimento.
In generale la tela non abbonda di sentimento: un sincero senso di umile commozione mostra S. Domenico, mentre le altre figure sembrano ‑ compresa la Vergine ‑ assorte in pensamenti quasi estranei alla scena. Si nota, in tutti gli atti esterni, che questi vogliono creare una sintassi ordinata: ma sono privi di quell’intimo fuoco che, come la fiamma sul legno, deve trasfigurarsi in luce ed idealizzarli”.
Sotto l’effigie di S. Caterina da Siena si legge a fatica il nome del committente: D. IOSEPH ROSSI PRI (priore o presbitero?) T. MARTINI P. MDCCXIII. L’angelo alla destra di Maria potrebbe essere l’autoritratto del Martini o di qualche familiare (si nota bene la barba rasata).
Stipo‑custodia per la statua di S. Giovanni Evangelista. E’ uno stipo in legno con dorature e laccature verde scuro. L’architrave reca un’iscrizione: “Procuratore Dominico Rossi 1696”. Lo sportello, dipinto a tempera, raffigura S. Giovanni Evangelista che tiene nella destra la palma del martirio e nella sinistra un libro. Le pareti laterali sono di legno grezzo: lo stipo, quindi, era probabilmente collegato ad altre strutture. Proveniente dalla chiesa di S. Caterina e conservato attualmente nella chiesa matrice, lo stipo è da attribuirsi all’arte monastica della fine del secolo 17′.
Stipo‑custodia per la statua di S. Caterina d’Alessandria. Si tratta di uno stipo ligneo con dorature e laccature verde scuro. Lo sportello, dipinto a tempera, raffigura S. Caterina che tiene nella mano destra la palma del martirio e nella sinistra un libro. Le pareti laterali dello stipo sono anche qui di legno grezzo. Lo stipo, proveniente dalla chiesa di S. Caterina e di identica fattura a quello per la statua di S. Govanni Evangelista, è da attribuirsi all’arte monastica della fine del secolo 17′. L’iscrizione che si può leggere dice semplicemente: “Anno Domini 1696”. Si conserva nella chiesa matrice.
- Carlo Borromeo: si trova nella chiesa del Carmine. Non è in buone condizioni.
Un prete (Prestinace o Pristerà?): sulla porta della sagrestia della chiesa del Carmine.
Immacolata con S. Pietro e altro personaggio: porta la data del 1797 ed è firmato da Pingera, della scuola di Mattia Preti. Di proprietà della famiglia Spedalieri.
Immacolata: si tratta di un quadro più piccolo del precedente, dello stesso periodo. Di proprietà della famiglia Spedalieri.
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